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2016.10 Omelia del Vescovo Antonio nella Festa del Patrono

“Fratello mio Santo, Omobono di Cremona”

L’omelia del Vescovo Antonio nella Festa del Patrono

   Pubblichiamo la singolare omelia – nella forma di una Lettera di S. Omobono a mons. Antonio Napolioni – che il nostro Vescovo ha pronunciato durante il solenne Pontificale vespertino in Cattedrale nella memoria del santo Patrono e a conclusione dell’Anno Giubilare della Misericordia il 13 novembre scorso.

     In appendice, viene offerta anche una mia riflessione sul legame tra S. Omobono e la nostra Città, riflessione pubblicata sulla pagina cremonese di Avvenire, sempre del 13 novembre 2016.

Don Alberto Franzini

canonico parroco

  

Cremona 27 novembre 2016

Prima Domenica d’Avvento

“Carissimi fratelli cristiani cremonesi…voglio dirvi che il Vangelo è proprio vero…”

L’omelia del Vescovo Antonio nella solennità di S. Omobono e a chiusura dell’Anno della Misericordia

Che bella coincidenza: nella festa di sant’Omobono, quest’anno celebriamo anche la chiusura diocesana del Giubileo straordinario della Misericordia. Non si tratta solo di due eventi da collegare, ma della medesima vita che scorre, nella Chiesa sulla terra e in quella del cielo, che nella liturgia si ritrovano, dialogano, unite nel loro Dio.

In questa luce, ho cominciato a fare conoscenza con “un certo santo uomo, di fatto e di nome Omobono”, come lo presenta la Bolla di canonizzazione, ed è man mano iniziato un dialogo con lui, attento patrono della sua amata Cremona, e della intera nostra diocesi. Perciò, sentendolo vivo oggi, ho provato a chiedergli come ha visto e vissuto lui, al nostro fianco, l’anno giubilare che va a chiudersi. E cosa ci suggerisce per il cammino che continua.

Ascoltiamolo:

 

“Carissimi fratelli cristiani cremonesi, vi saluto uno ad uno, riuniti col vostro nuovo Vescovo, col Vescovo Dante e con i sacerdoti che tanto mi amano. Vedo anche il vostro Sindaco, che spesso guarda a me per rinnovare lo slancio suo e di tanti al servizio della città e della sua pace. Che bella la nostra cattedrale stasera! Che bello il Vangelo che, anche dal cielo, ho sentito proclamare in mezzo a voi. Voglio dirvi, prima di ogni altra cosa, che il Vangelo è proprio vero: credete a me, che tanto mi affannavo a tessere, a far da sarto, e a commerciare, per vestire i ricchi, accontentare i mediocri, guadagnare e farmi una sicurezza. Tardi ho capito che l’abbondanza delle cose non toglie l’ansia ma anzi la aumenta, e ora so davvero qual è il tesoro della mia vita: assaporare quanto è grande la misericordia di Dio e farla scoprire ai poveri, con i gesti concreti della carità.

Il mio giubileo, cari amici, è iniziato quando avevo 65 anni, e non è mai finito! Provare la commozione per il vangelo e la spinta della carità è stata la svolta della mia vita. Ero amato, e non lo sapevo abbastanza! Quando potevo disperare di me, ho ricominciato a credere e sperare, e il Signore mi ha fatto capire che non è mai troppo tardi per Lui. Ricordàtelo, quando vi preoccupate di tempi e modi per “far diventare cristiani” piccoli e grandi: si può sempre ricominciare! I miei tempi non erano più facili di quelli che attraversate voi: c’erano guerre tra città, anzi anche dentro la città, tra città vecchia e città nuova (quelle che voi ora chiamate periferie), le lotte nella Chiesa, con la fallimentare impresa delle crociate. Anche nel XII secolo la gente migrava, e tanti erano i nuovi poveri che affollavano le nostre contrade.

Io, e quelli che come me intraprendevano i nuovi mestieri della mercanzia e della finanza, stavamo diventando velocemente importanti e ricchi, una nuova classe sociale con cui fare i conti. La mia famiglia aveva un futuro assicurato, ma la gioia e la pace non erano di casa nei nostri cuori. Le calamità naturali, poi, ci coglievano fragili e impreparati: pare che io sia nato proprio nell’anno del terremoto che fece rovinare la nuova cattedrale, iniziata appena 10 anni prima. L’ho vista rinascere e crescere anno dopo anno, negli 80 anni della mia vita. Quante somiglianze con il vostro oggi, che nello Spirito è anche un po’ il mio!

Bene ha fatto il Papa a chiamarvi a ricentrare la vita personale ed ecclesiale sul Vangelo della misericordia, e a riscoprirne le tante opere, possibili e necessarie, perché il mondo non muoia nella durezza di cuore. Il discorso della montagna, che penetrò in me tanto da convertirmi, è consegnato anche a voi, per dare luce alle passioni che vi agitano, ai pensieri che vi tormentano. Seguite ancora questa parola del Signore: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta. E’ una via di libertà, di armonia e di fortezza, mentre la vita sembra andare in frantumi e sfuggirci di mano.

Da quando scoprii chi fosse davvero il Dio di Gesù Cristo, e che era tutto per me, non potei più smettere di dissetarmi, ogni giorno, alla fonte della Sua Parola. Ne venni talmente guarito che, anche dopo la mia morte, ho continuato ad aiutare i muti a ritrovare la parola. Perché tutti vivano a lode di Dio e a servizio dei fratelli. Non fu facile per mia moglie e i figli capire cosa mi era accaduto, ma ormai stavo diventando – senza saperlo – “padre dei poveri”. La città era la mia famiglia. Le guerre, la peste e le carestie, imponevano di non guardare dall’altra parte, e sentivo, finalmente, che i miei beni dovevo condividerli, generosamente e naturalmente, con chi soffriva.

Quasi mi vergogno ad ascoltare quel ritratto dell’uomo giusto, che il libro del Siracide ha disegnato da tanti secoli e che anche voi avete contemplato stasera. Non me ne sono mai ritenuto degno, ma la Grazia di Dio ha fatto il suo lavoro, in me e in tanti, anche sconosciuti, che affollano ora il Paradiso di Dio. Non abbiate paura, c’è posto anche per voi. Perché davvero Dio ama chi dona con gioia.

Non chiedetevi frettolosamente: “Come è andato il Giubileo?”. Solo Dio lo sa, Lui che ha accolto nel suo abbraccio di Padre tante anime che, come me, si son fatte umilmente penitenti, e hanno pianto di gioia per il dono della Riconciliazione. Lì, al confessionale, si giocherà ancora il futuro della Chiesa, se chi bussa troverà ascolto, comprensione, amore, il perdono di Dio stesso.

In questi mesi vi ho visto pellegrini alla cattedrale e ai santuari, a Roma e in tanti luoghi dello Spirito: avete fatto bene, vi siete rigenerati, sapete che è bello camminare insieme, da figli di Dio. So che volete proporlo anche ai vostri giovani, e che forse ci riuscirete meglio di quanto abbia saputo fare io coi miei ragazzi. Ascoltateli davvero, senza pregiudizi, perché vi stupiranno col bene di cui sono capaci, in ogni epoca.

Si chiuderanno ora le “porte sante”, dopo che sarete usciti per le strade, perché possiate bussare anche a quelle meno sante, quelle che sembrano sbarrate, maledette, che fanno paura. Per donare la pace e fare comunione. Una certezza vi guidi: Colui che somministra il seme… e il pane… moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Dio non si stanca di amare e perdonare, e non si fa battere da nessuno in generosità. Vi camminerà sempre dinanzi, vi aprirà nuove vie, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Che nessuno vi toglierà.

Sapete, anche io mi sono commosso qualche anno fa, quando il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi Francesco. Lui, il Poverello di Assisi, come immaginate, quassù è il mio più grande amico. Per poco non ci eravamo incontrati in terra, ma poi è stato lui, in cielo, a dirmi che anche io gli avevo preparato la strada. Quella del ritorno al Vangelo, all’essenziale della vita cristiana, per ricostruire una Chiesa che andava in rovina. E ora, il nuovo Francesco ha bisogno di voi, uomini e donne di Cremona e del suo territorio. Per fare la Chiesa più bella, più leggera, più viva, più di Gesù.

Ma non montatevi la testa. Anche al mio tempo alcuni credenti erano tentati di sentirsi gli unici puri, i migliori, i perfetti, e io non esitai a richiamarli dall’errore. Perché sapevo come il Cristo aveva abitato la mia povertà, e vedevo ogni giorno la Sua umanità palpitare nei più poveri e disprezzati. I poveri li avrete sempre con voi, non per farci l’abitudine, ma per aver sempre Cristo, il Signore, a portata di mano e di sguardo, a portata di un gesto di misericordia e di carità. Lo dico soprattutto a quanti sono laici come me, perché il loro lavoro e la loro partecipazione attiva alla vita della società sia sempre un contributo alla pace, al bene di tutti.

So quante opere avete ideato e realizzato in questi lunghi anni di fede e di carità, e di quanto avete in animo anche ora, mentre la storia vi riserva le sue nuove sfide. Non voltatevi indietro, se non per dire grazie. Guardate avanti, senza timore. Soprattutto, guardate negli occhi ogni fratello e sorella che, anche quando chiede, tanto può dare. Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà: questa è la regola anche per il vostro futuro.

Un’ultima cosa, la più importante, permettetemi di ricordare a voi, che amo come me stesso, voi che oggi venite in tanti a salutarmi con affetto in questa cripta. Scendete con la stessa devozione i gradini del vostro cuore, non temete di fare silenzio ed imparare veramente a pregare, a stare e dialogare con Dio. Sapete che, convertito a più viva fede, io scelsi le vie della penitenza e della preghiera, per obbedire al Santo Vangelo e alla Madre Chiesa. Il bisogno di pregare era tanto, che le porte della chiesa di sant’Egidio si aprivano per me ancor prima che scendesse il custode. Ed ebbi anche il dono di morire durante la Santa Messa, abbandonato a Gesù Crocifisso.

Avevo assaporato le cose di lassù, quella gioia misteriosa che esplode in cielo quando il Padre riabbraccia un peccatore, e non l’ho più lasciata. Il mio giubileo è diventato un eterno sguardo d’amore su di voi, che mi avete presto scelto come amico e Patrono. Vi auguro di fare la stessa scoperta, e di riprendere ancora, già da stasera, il cammino della santità. Io vi sarò sempre vicino, dal seno del mistero santo di Dio”.

 

Fratello mio santo, Omobono di Cremona, che bello averti ascoltato così, insieme. Perdonami, se – ultimo arrivato ma Vescovo della tua amata Chiesa – ti ho messo in bocca queste parole, e se qualcuna di esse tu non sentissi vera. E’ il nostro desiderio di vita buona, il nostro bisogno d’amore, che mi ha fatto osare, a nome di questo popolo in cammino. Ti ringrazio per averci mostrato come lasciar entrare davvero Dio nella nostra vita, Lui che è sempre libero di cambiarla nel profondo. E di rinnovare, anche oggi, la nostra Chiesa.

E sia lode a Te, o Dio, per i miracoli della tua Misericordia, per le tracce dei tuoi santi, per le amorevoli sorprese che la tua Provvidenza ci farà.

Il forte legame di S. Omobono con la sua e nostra Città

Una riflessione del Parroco della Cattedrale, mons. Alberto Franzini, pubblicata su Avvenire il 13 novembre scorso

E’ davvero singolare il legame affettivo tra S.Omobono e Cremona: un legame che perdura da oltre otto secoli e che definisce e qualifica, e non solo in modo carsico, l’identità della Città e del popolo cremonese. Il 13 novembre di ogni anno la cripta della nostra Cattedrale, che conserva i resti mortali di Omobono, è meta di tanta gente, che accorre all’urna del Santo quasi per ritrovare le radici vive del proprio patrimonio religioso e culturale, e per celebrare la figura apicale della propria storia secolare, una “storia di carità” al servizio dei più bisognosi.

Omobono Tucenghi, nato nei primi decenni del secolo XII, muore il 13 novembre 1197, mentre partecipa nella “sua” chiesa di S. Egidio alla Messa, celebrata dal presbitero Osberto, suo confessore per oltre vent’anni. La Città, mentre piange la morte di un concittadino diventato illustre già in vita per la sua straordinaria presenza nella vita cittadina, lo venera da morto come fonte di miracoli. Da subito l’intera Città si mobilita e manda a Roma una qualificata delegazione, presieduta dal Vescovo Sicardo e dal presbitero Osberto, per chiedere al Papa Innocenzo III il riconoscimento delle sue virtù, ben presto confermate dal Papa con la Bolla Quia pietas del 12 gennaio 1199, con la quale proclama Omobono santo, a soli quattordici mesi dalla morte. Omobono è forse l’unico santo medievale, non appartenente alla nobiltà, ad essere elevato agli onori degli altari.

Omobono unisce in sé: una robusta spiritualità, nutrita alle fonti genuine della fede cristiana – la Messa mattutina, la liturgia delle Ore, la contemplazione del Crocifisso , la devozione alla Madonna – ; una convinta appartenenza alla Chiesa, che si esprime in una filiale relazione con i propri Vescovi; una strenua difesa della fede cristiana in un tempo caratterizzato da movimenti ereticali pauperistici quali i patarini e i catari e dall’eresia berengariana, che interpretava il mistero eucaristico con categorie simbolico-spirituali, anziché con categorie realistico-sacramentali; una grande carità verso i poveri, sempre più in crescita a causa della peste, delle carestie e delle inondazioni; un’opera di pacificazione all’interno della Città, divisa dalle lotte intestine tra i nobili della Città Vecchia e il popolo della Città Nuova: lotte che si erano andate acutizzando anche a causa della ondeggiante politica comunale nei confronti dell’imperatore Federico Barbarossa.

Omobono è un santo laico che dice anche a noi, cristiani di oggi, con quale tenacia e con quale attrezzatura spirituale affrontare le sfide, drammatiche e meravigliose, del nostro tempo. E’ un uomo che è vissuto pienamente nel mondo senza essere sedotto e catturato dalla mondanità.